Gesù in ebraico: Yèshu o Yeshùa?

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Sull’importanza del nome del Messia e sul fatto che sia pronunciato in ebraico vale lo stesso rigore ed assoluta riverenza che l’ebraismo nutre nei confronti di ogni nome, primo fra tutti, quello dell’Eterno. «Il nome è per l’ebraismo l’essenza dell’identità spirituale»[2] ed esprime il senso della propria esistenza. Del resto nessuna traduzione di Yeshùa è capace di esprimere la forza contenuta nel radicale ebraico, Y-Š-‛, salvezza appunto, unito al prefisso YH che indica il nome dell’Eterno.[3] Infatti, solo in ebraico il nome del Messia Yeshùa, reso Gesù in italiano, Jesus in inglese, francese e spagnolo, mantiene le caratteristiche essenziali del suo significato.

Riguardo al nome del Messia vale la pena mettere in luce un’importante questione, partendo da una domanda: come si pronuncia esattamente il nome del Messia Gesù in ebraico.

Chiunque si sia trovato in terra di Israele può facilmente avere notato che gli israeliani in generale, con l’unica eccezione dei messianici, non chiamano Gesù Yeshùa, con il conseguente ed evidente impattolinguistico sopra evidenziato, ma Yèshu. Solo gli ebrei messianici esprimono correttamente il nome. Invece,per gli altri israeliani è entrato in uso comune, erroneamente, il secondo termine senza che peraltro ne siano conosciuti l’origine ed il significato.

I messianici stessi spiegano che Yèshu è l’acrostico[4] di Yimach Shemò, che significa,il suo nome sia cancellato. Affermano David e Nadia Sciunnach in un contesto più generale riguardo all’importanza della scelta dei nomi:

«Se vogliamo sottolineare che qualcuno nella vita è stato negativo diciamo Imachshemò: che il suo nome sia cancellato. Non si tratta di un’eliminazione della persona stessa, ma è il sottolineare che essa non ha avuto un’evoluzione spirituale, e non ha aiutato il mondo a progredire, a elevarsi».[5]

Secondo il Libro degli Atti, ai capp. 3-4, gli apostoli ebrei Simon Pietro e Giovanni, trovandosi nel tempio per l’ora della preghiera e visto il grave bisogno di un uomo zoppo fin dal grembo di sua madre, operarono per lui un miracolo nel nome di Yeshùa Ha-Mashiach mi-Natzeret, Gesù il Cristo di Nazaret.[6] Il popolo vide e riconobbe lo zoppo guarito entrare nel tempio «camminando, saltando e lodando Dio»[7] e Pietro, preoccupato che le persone credessero che il miracolo fosse stato compiuto per la propria potenza o pietà, spiegò invece al popolo che ciò era potuto avvenire solo grazie alla fede nelnome di Yeshùa:

«Il suo nome ha fortificato quest’uomo, che voi vedete e conoscete; e la fede che si ha per mezzo suo, gli ha dato questa completa guarigione, in presenza di tutti voi».[8]

In Atti 4, 1, è scritto che «mentre essi parlavano al popolo, sopraggiunsero i sacerdoti, il comandante del tempio e i sadducei» che li gettarono in prigione fino al giorno seguente quando, riunito il sinedrio, «i loro capi, gli anziani e gli scribi si radunarono in Gerusalemme, insieme con Anna, sommo sacerdote, e con Caiafa, Giovanni, Alessandro e tutti quelli che appartenevano alla parentela del sommo sacerdote. E fatti comparire là in mezzo Pietro e Giovanni, domandarono loro: “Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?”».[9]

Ciò che Pietro aveva precedentemente dichiarato nel tempio in presenza del popolo, veniva nuovamente annunciato con franchezza davanti al sinedrio: «Sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele che ciò è stato fatto nel nome di Yeshùa Ha-Mashiach mi-Natzeret, Gesù il Cristo di Nazaret»,[10] sottolineando, sempre a proposito del nome, che «in nessun altro vi è la salvezza, poiché non c’è alcun nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati».[11]

Arrivò dunque il momento in cui il sinedrio si ritirò per consultarsi riguardo ai fatti esposti e soprattutto a seguito delle tremende dichiarazioni di Pietro e, poiché il segno evidente della guarigione dello zoppo non si poteva negare, fu imposto agli apostoli «con severe minacce di non parlare più a nessun uomo in questo nome… di non parlare affatto, né di insegnare nel nome di Yeshùa»[12].

Evidentemente non toccati da queste minacce ma soprattutto preoccupati di ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini, Pietro e Giovanni tornarono dai loro ed insieme ripresero ad andare al tempio insegnando in questo nome. La situazione precipitò nuovamente, il Sommo Sacerdote con il resto dei sadducei li percossero ancora e furono gettatiin prigione. A questo seguì la fuga miracolosa dalla prigione ad opera di un angelo del Signore che aprì loro le portecosicché, recidivi, tornarono nel tempio ad ammaestrare il popolo. Il comandante del tempioli ricondusse al sinedrio, questa volta senza far loro violenza per paura che il popolo si rivoltasse contro le guardie e, nuovamente portati in tribunale, furono interrogati dicendo: Non vi abbiamo severamente proibito di insegnare in questo nome? … E deliberarono di ucciderli. Ma un certo fariseo, di nome Gamaliele, un dottore della legge onorato da tutto il popolo si alzò in piedi dicendo … “State alla larga da questi uomini e lasciateli stare, perché se questo progetto o quest’opera è dagli uomini sarà distrutta, ma se è da Dio, voi non la potete distruggere, perché vi trovereste a combattere contro Dio stesso!”. Ed essi diedero ascolto. E chiamati gli apostoli, li batterono e comandarono loro di non parlare nelnome di Yeshùa; poi li lasciarono andare. Così essi si allontanarono dal sinedrio, rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere vituperati nel nome di Yeshùa. E ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di annunciare Yeshùa Ha-Mashiach, Gesù il Cristo.[13]

Su questo reiterato ammonimento da parte delle istituzioni religiose ebraiche del tempo affinché non venisse pronunciato il nome del Messia, si sarebbe divulgato l’acrostico di Yimach Shemò, Yèshu, che è diventatol’appellativo dispregiativo assegnato all’ebreo Yeshùa. 

È importante sottolineare che gli israeliani in generale, non essendo a conoscenza di questa origine, usano oggi l’appellativo semplicemente perché è quello comune a tutti. Uno dei compiti dei messianici, per esempio, è di correggere questa adulterazione e diffondere il nome giusto e corretto senza con questo volere imporre una fede che come tale resta una scelta di dominio assolutamente personale.

[1] Silvia Baldi, Israele e il movimento messianico in Italia attraverso uno sguardo all’editoria cristiana evangelica italiana dal Duemila, in “Chi ha sprezzato il giorno delle piccole cose?”, A Domenico Maselli, Professore, Deputato, Pastore, pp. 649-690, E.P.A. Media, Aversa 2007

[2] Rav David e Nadia Sciunnach,Il nome, una scelta casuale?, Edizione Koiné, Milano 2003, p. 10.

[3] In epoca antica, il nome Yeshua’ era abbastanza comune, ricorre infatti più volte nei libri di Ezra e Nehemia. Si tratta appunto di una forma evoluta, contratta del nome Yehoshua’ (Giosuè). Il processo avvenuto può essere paragonato all’evoluzione moderna del nome Giuseppe in Pino.

[4] «Sinonimo di sigla, qualora le iniziali delle parole componenti diano origine a un vocabolo di senso compiuto: APE (Associazione per la Propaganda Editoriale)», Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli, Dizionario della Lingua Italiana, Le Monnier, Firenze, 1971, p. 34.

[5]Sciunnach,Il nome, cit., p. 14.

[6]Libro degli Atti 3, 6. Testo ebraico: The Holy Scriptures, Hebrew and English, I.A.D.B.W and B.S..I Jerusalem, 1997.

[7]Libro degli Atti 3, 8.

[8]Ivi3, 16.

[9]Ivi4, 5-7.

[10]Ivi4, 10.

[11]Ivi4, 12.

[12]Ivi4, 16-17.

[13] Ivi5, 28-42.


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