Intervista al tg3
Intervento di Silvia Baldi Cucchiara in occasione di:
60 anni di Amicizia ebraico-cristiana a Firenze, in Italia e nel mondo
Firenze – Domenica 3 ottobre 2010
Sala Incontri – Cassa di Risparmio di Firenze, Via Folco Portinari, 5
Shalom a tutti voi.
Vorrei innanzitutto ringraziare: l’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze, nella persona della sua presidente, Manuela Paggi per avermi invitato a partecipare, come rappresentante dell’associazione di Firenze, a questo incontro che celebra i 60 anni della fondazione, e vorrei ringraziarla non solo per questo momento, ma anche per un incontro molto più lontano avvenuto esattamente 20 anni fa (era il 40esimo anniversario della sua fondazione), la prima volta, cioè, che ho partecipato ad un evento dell’AEC e che ha rappresentato per me l’inizio di una tappa molto importante per la mia vita, per il significato che ha avuto e lo sviluppo di quella che io ritengo essere una vera e propria chiamata personale, e cioè una vocazione.
Non è un caso per me essere in questo luogo, e questo mi commuove un poco: 18 anni fa, il 17 novembre 1992, mi trovavo proprio in questa stessa sala per ricevere il premio “Aldo Neppi Modona” indetto dall’Amicizia, per la tesi di laurea che avevo appena discusso sulla storia dell’AEC di Firenze dalla sua origine (1948) al 1970.
Già questo mi pare un segnale positivo di fiducia e di speranza: non c’eravamo sbagliati, né voi, né io. Non fu quello un episodio casuale, un semplice momento conclusivo a coronamento del mio percorso di studi in Storia del Cristianesimo, ma fu semmai un battesimo, l’avvio di un cammino, quello della riconciliazione, in primis tra ebrei e cristiani, che da allora ad oggi continua a caratterizzare tutta la mia vita.
Permettetemi di portare i saluti di mio marito, Enzo Cucchiara, e della chiesa di cui faccio parte, Chiesa evangelica pentecostale “Parola della Grazia”, nella persona del pastore Beniamino Cascio. Purtroppo nessun dei due è potuto essere qui presente, e ciò mi dispiace, ma il pastore è al nord Italia a visitare una chiesa da lui curata, e mio marito ed io, in quanto anziani della nostra assemblea, non potevamo mancare entrambi alla celebrazione della domenica mattina. Io stessa sono qui in via del tutto eccezionale. È molto importante infatti per noi essere presenti. Non è “solo” una mitzvà, ci teniamo ed amiamo la nostra chiesa. Questo per sottolineare il valore che abbiamo dato, come famiglia e come chiesa, a questa mia presenza e a questo nostro insieme.
Ci troviamo oggi a celebrare un anniversario importante, che un po’ come tutti gli anniversari ci costringe a fare dei bilanci e a ripercorrere gli anni passati.
Io vorrei cogliere questa opportunità non tanto per rimanere ancorati ad un passato, seppure glorioso di un’associazione che è diventata un’istituzione di dialogo nel nostro paese ma, soprattutto, per trasmettervi una breve testimonianza, che sottolinei l’attualità dei valori che rappresentiamo, di come quel piccolo seme gettato molti anni fa sia germogliato e quali frutti abbia portato e stia portando.
Vent’anni fa certamente non avrei immaginato tutto questo e qualche volta io stessa avrei preferito un percorso più facile, meno impegnativo, per esempio, un’attività esclusivamente accademica come Storia Medievale o Storia Contemporanea, meno coinvolgente dal punto di vista umano ma peraltro anche meno delicata, meno faticosa. Il ministero di riconciliazione, è così infatti che lo chiama l’apostolo Paolo, nella seconda epistola ai Corinzi, non può riguardare solo l’aspetto accademico, per quanto importante e fondamentale sia (e sottolineo l’importanza di questo aspetto perché a mio avviso non si fa un buon lavoro nel dialogo se non si è ben preparati, se non si conoscono bene i fatti, e se non si ha il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome. Altrimenti si rischia di rimanere ad un livello emotivo che per quanto bello ed entusiasmante possa essere, in definitiva compiace solo noi stessi). In questo processo di riconciliazione ebraico-cristiana non conta solo l’aspetto conoscitivo, perché qui non si tratta solo di trasmettere informazioni e conoscenze ma di favorire piuttosto la formazione delle coscienze, a partire dall’esempio della propria vita. Ogni volta che insegno, io desidero trasferire qualcosa e non possiamo trasmettere se non ciò che siamo e viviamo. Questo, si capisce, è tutta un’altra cosa.
Qualche volta – so di essere compresa in questa sede – il vestito mi sta stretto, mi sembra che persona meno adatta di me ad indossarlo non possa esserci. Col caratterino che mi ritrovo, tutto estremi: “o bianco, o nero”. Ma chi devo riconciliare io? Poi, però, siccome sono una donna di fede, per grazia di Dio, mi arrendo e mi rimetto a Colui cui ho affidato la mia vita e che la sta guidando. A Lui va la mia più immensa gratitudine: seguirLo è una sfida continua ma in assoluto è la più bella che abbia mai vissuto e possa vivere.
Come è cominciato, in me, questo cammino: tutto è partito da una relazione, l’amicizia tra due compagne di università che cercano di aiutarsi reciprocamente negli studi,. Queste siamo io e Lia Servi, della comunità ebraica di Firenze, alla fine degli anni ‘80. Con lei e quello che oggi è suo marito, Emanuele Viterbo, nipote di uno dei fondatori dell’AEC di Firenze, Aldo Neppi Modona, è nata un’amicizia che nonostante i suoi alti e bassi, si mantiene viva fino ad oggi (con le nostre famiglie, oggi, pranzeremo insieme). Tappe importanti sono state: essere testimone civile al loro matrimonio in sinagoga e loro al mio.
Poi si è presentata l’opportunità di fare una tesi di laurea sull’AEC di Firenze di cui appunto il nonno di Emanuele era stato tra i principali fondatori. Per fare ciò ho dovuto cimentarmi nello studio dell’ebraico, della storia d’Israele e in quella delle relazioni tra ebrei e cristiani. (Poi ci sono stati) i colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli che all’aspetto accademico uniscono, per esempio, la possibilità di apprendere le danze ebraiche e quella di affrontare in piccoli gruppi tematiche e nodi del dialogo che altrimenti nella grande assemblea resterebbero irrisolti; l’incontro con personalità di grande rilievo come lo scrittore israeliano Andrè Chouraqui di cui porto un ricordo vivissimo con le sue vere e proprie lezioni di vita (quando una volta venne a Firenze lo accompagnai come traduttrice per due giorni e stargli a fianco in quell’occasione ha lasciato in me più un importante segno).
Mi sono dunque innamorata: della lingua ebraica, della storia d’Israele, della sua cultura e più mi immergevo in tutto questo, più riscoprivo la mia fede cristiana fino a quando sono arrivata ad un punto di svolta che io definisco il passaggio da una spiritualità subita, (nel senso che nessuno di noi sceglie di nascere in una famiglia cristiana o ebraica ma si è tali perché nati in quel dato contesto), ad un’adesione personale attiva e propositiva alla fede cristiana.
Non posso qui tralasciare l’esperienza formativa che più di tutte ha lasciato in me il segno: essere stata innumerevoli volte in Terra d’Israele e, in particolare nell’ottobre del 1995 (26 ottobre 1995 è l’anniversario), quando sono partita da Roma con un biglietto di sola andata per Tel Aviv. Sono rimasta in Israele per tutto un anno, non per godermi una borsa di studio che infatti non avevo, ma perché volevo vivere esattamente come una di loro, come una cittadina israeliana, non da turista – con tutti i privilegi che ne derivano - ma da residente, con tutte le difficoltà del caso visto che, non essendo ebrea, non potevo avere facilmente un permesso di soggiorno. Così ho vissuto da extra comunitaria per un anno, esperienza certamente dura ma unica. Lavoravo presso il Centro di Cultura Italiano di Haifa (Dir. Miriam Liuzzi). Fu l’anno dell’assassinio di Itzaak Rabin e di altri sei attentati suicidi. Un anno tremendo: montavi sugli autobus e, del continuo, salivano gli uomini della sicurezza ma non per controllare chi avesse il biglietto ma per verificare la presenza di bombe. Bisogna viverle sulla propria pelle queste cose per comprendere il prezzo che Israele paga per la sua esistenza, per condurre una vita normale che normale non è.
Al mio rientro, agosto 1996 (tengo qui a precisare che ripartì da Tel Aviv con un biglietto A/R valido un mese e che dunque sarei dovuta tornare in Israele alla fine di agosto), tornata a Firenze, ricevetti una telefonata che cambiò il corso della mia vita: fu sempre Emanuele Viterbo. Mi disse che la cooperativa, che tutt’oggi si occupa della gestione turistica e didattica della sinagoga e del museo ebraico di Firenze, cercava una guida con una formazione giudaica forte e garantita. Lui pensò a me e m’incoraggiò a presentare domanda. Si trattava di lavorare nell’Israele di casa mia: fruire dunque di tutti i privilegi dell’essere a casa propria, lavorando nell’ambito che amavo di più, a contatto con i gruppi più svariati: scolaresche (dalle elementari alle superiori), gruppi israeliani, turisti di ogni nazionalità, ebrei e non ebrei. Fu una chiamata alle armi che non potevo rifiutare. Così scelsi di rimanere in Italia.
Per vari mesi fui l’unica guida: provvedevo ad accompagnare turisti e scolaresche, sei volte al giorno. Sei volte al giorno dovevo spiegare la storia degli ebrei in Italia illustrando la specificità di Firenze. La cosa che tutt’ora mi meraviglia è che non mi sono mai annoiata. Più volte mi sono ammalata con le placche alla gola per l’umidità e il freddo che c’erano in sinagoga ma mai mi sono annoiata: sei volte al giorno la stessa guida, lo stesso tour, ma per me ogni volta era una cosa nuova, incontravo persone diverse, mi calavo nei loro panni e cercavo di mettere a loro disposizione la mia conoscenza e la mia esperienza. Ho dei ricordi bellissimi di quei mesi vissuti praticamente dentro il tempio ebraico di Firenze.
Poi l’incontro con quello che oggi è mio marito con cui condividiamo appieno fede e vocazione. Io dico, comunque, che il nostro è altro che un matrimonio misto: lui è siciliano ed io fiorentina che è come dire unire in nozze un ebreo ortodosso e una reformer. Anche questa è una sfida di riconciliazione continua ma è l’addestramento più importante e più solido che potevamo ricevere perché avviene nell’intimità della nostra casa.
Con Enzo in particolare il servizio di dialogo ebraico-cristiano che esercitavo soprattutto in sinagoga come guida, e all’università di Firenze presso la Facoltà di Scienze della Formazione, come cultrice di Storia del Cristianesimo, si è aperto maggiormente al mondo evangelico pentecostale di cui facciamo parte. Il mondo pentecostale, che è in forte crescita, ha in generale un’attenzione molto alta verso l’ebraismo. Ho avuto il privilegio di accompagnare in visita al Museo ebraico e alla sinagoga di Firenze tanti gruppi evangelici e tutt’ora questo è un servizio che svolgo regolarmente per le chiese evangeliche e gli studenti delle varie scuole bibliche (proprio in queste settimane, insegno a San Romano, in provincia di Pisa presso il Centro Cristiano Acqua Viva). Ho avuto il privilegio di accompagnare in visita, il Pastore Lirio Porrello, il pastore pentecostale che a Palermo conta la chiesa più numerosa d’Italia con oltre 5000 membri di cui circa 1000 giovani tra i 19 e i 35 anni. Capite che influenzare realtà come queste significa toccare una generazione intera. Nel 2006 con mio marito e i nostri due splendidi figli, Simone e Miriam rispettivamente di 11 e 9 anni, abbiamo accompagnato in Israele un gruppo pentecostale di 50 persone tra cui il Past. Lirio e la sua famiglia, il nostro pastore, Beniamino Cascio e la sua famiglia, più altri. I pastori in quanto supervisori del gregge sono dei fattori moltiplicatori a vasto raggio. Uno dei nostri obiettivi è quello di accompagnarne in Terra d’Israele il maggior numero possibile. Il viaggio in Israele, fatto in un certo modo e con le persone giuste è, come afferma l’archeologo benedettino Pixner il quinto Evangelo: “Cinque Vangeli raccontano la vita di Gesù: quattro li trovi nei libri, uno nel paesaggio. Se leggi il quinto, ti si dischiude davanti agli occhi il mondo dei quattro”. Eretz Israel, la terra d’Israele, è il quinto Evangelo.
Particolarmente proficua a tal proposito, è stata e continua ad essere, la collaborazione e gli scambi di studi che abbiamo attivato con due comunità ebraico messianiche in Israele e con una congregazione arabo messianica: anche queste sono realtà in forte sviluppo e occorre considerare che questo tipo di congregazioni hanno un impatto molto forte e positivo sul mondo cristiano gentile.
A servizio delle chiese evangeliche in Italia, mio marito ed io abbiamo attivato, da circa un anno e mezzo, un sito web www.ghesher.it per le relazioni con Israele che ha l’obiettivo di costruire un ponte che avvicini sempre di più le due realtà. Per usare un’espressione a noi tutti molto cara, di Jules Isaac, la nostra missione è far conoscere Israele alle nazioni e un volto nuovo di cristiani agli ebrei e certamente agli israeliani.
Come famiglia, per noi è molto importante instaurare rapporti di autentica amicizia, di fratellanza, tra ebrei e cristiani. La nostra casa da anni si apre ad ospitare israeliani, in particolare giovani israeliani che hanno finito il servizio militare, in visita in Italia e possono trovare riposo e alloggio gratuitamente, per alcuni giorni, presso una famiglia non ebraica che sostiene praticamente Israele. Sono queste persone che noi non conosciamo fino al momento in cui arrivano a casa nostra. Ci sono dei sistemi di sicurezza che noi dobbiamo attivare per controllare chi sono. Questa è amicizia ebraico-cristiano: amicizia vuol dire dare la propria vita per l’altro, fatti pratici che parlano molto più di tante parole. Un risultato che posso testimoniare è che nel nostro ultimo viaggio che, come famiglia, abbiamo fatto in Israele, il luglio scorso, siamo stati 27 giorni in Eretz e, di questi, solo tre li abbiamo trascorsi in strutture di tipo alberghiero e perché dovevamo controllare questi posti per i viaggi che organizziamo. Il resto dei giorni siamo stati sempre ospitati da amici israeliani di ogni tipo di estrazione e cultura: ebrei ortodossi, alcuni molto ortodossi, altri meno, altri proprio non religiosi, altri ancora messianici, altri arabi, ecc. La maggior parte di queste erano persone che avevamo avuto il privilegio di ospitare in casa nostra.
In questo percorso, come vedete ricco e variegato, s’inserisce anche una nuova pietra importante, la collaborazione come docente presso la Facoltà Pentecostale di Scienze Religiose di Aversa (Caserta), al suo quarto anno di fondazione, accreditata presso l’Università del Galles. L’anno scorso ho insegnato Storia delle Missioni ma quest’anno mi è stato chiesto di presentare un corso di “Amicizia ebraico-cristiana: storia, forme e contenuti” che è stato formalmente approvato dalla Commissione del Galles all’inizio di settembre.
È l’unica istituzione accademica che mi abbia permesso di svolgere un corso così. L’interesse di studio per il mondo ebraico nella nostra Facoltà è molto forte: si studia Ebraico Biblico, St dell’ebraismo, St dell’amicizia ebraico- cristiana e un corso di Storia Moderna e Contemporanea con un filo rosso costante verso la componente ebraica. Ci sono inoltre corsi per l’ecumenismo come il corso di Teologia e Storia dell’ecumenismo.
Tutto ciò mi dà speranza e ancora più vigore e passione per la causa. L’Amicizia ebraico-cristiana non è soltanto un’importante istituzione che ha contribuito a trasformare l’insegnamento dottrinale delle varie denominazioni cristiane riguardo ad Israele, avvicinando come mai era stato nei millenni precedenti ebrei e cristiani allo stesso tavolo, ma è un tassello formativo essenziale, e, soprattutto, è uno stile di vita da salvaguardare e “inculcare” per il bene delle generazioni future.
Vi lascio con un versetto dal Nuovo Testamento, Vangelo di Marco 9, 51. È Gesù che parla e dice: “Yehé melach bekirbechem ve heiyù be shalom ze ‘im ze”, “Abbiate del sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri”.
Un cordiale shalom a tutti e grazie per l’attenzione, Silvia Baldi Cucchiara.