Un saluto e un ben trovati a tutti,
prima di addentrarmi nell’intervento, desidero sottolineare che questo nostro incontro, cade in una settimana particolare dedicata alla “Giornata della memoria” della Shoà, i crimini nazisti che hanno visto lo sterminio di sei milioni di persone uccise semplicemente perché ebree, nel cuore del nostro continente e, nella liturgia, la settimana per l’unità dei cristiani.
Mi allaccio inoltre all’invito che il nostro capo dello Stato, Presidente G. Napolitano, ha rivolto all’inizio di quest’anno, a tutti gli italiani, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, quello cioè di riprendere coscienza delle radici della nostra storia. Poiché mi occupo in particolare di radici ebraiche del cristianesimo, ho pensato che il contributo migliore che potessi offrire a questa nostra conferenza, fosse quello di ripercorrere alcune tappe importanti sull’origine e il primo sviluppo del cristianesimo. Non perché si sia o si debba essere tutti cristiani ma proprio perché, a prescindere da ciò in cui crediamo, il giudeo-cristianesimo è e rimane un pilastro assolutamente fondante della nostra società di cui tutti dobbiamo approfondire la portata e il significato. Porto dunque questo mio contributo ai tragici fatti recentemente avvenuti e tuttora in atto contro i cristiani in tanti paesi di area islamica, con la speranza, che per me è una certezza, che conoscere meglio la storia ci aiuti a prevenire e a combattere il male.
La chiesa, intesa non tanto come istituzione gerarchica ma come assemblea di discepoli che riconoscono in Gesù il Messia d’Israele e il salvatore dell’umanità, nasce con una localizzazione geografica precisa e non casuale a Gerusalemme, circa duemila anni fa. Il fondatore di questo movimento è un giovane ebreo, tale Yeshua mi Natzeret, Gesù di Nazaret. I discepoli che si raccolgono accanto a Lui credono che questo loro giovane maestro sia morto sulla croce come sacrificio espiatorio del peccato degli uomini e che dopo tre giorni sia risorto. Ciò che desta maggiore scalpore e preoccupazione presso le autorità civili romane e quelle religiose giudaiche del tempo è soprattutto il fatto che, nonostante la morte del fondatore, in tutta la regione, nel Suo nome, continuino ad accadere fatti straordinari, guarigioni, liberazioni e miracoli, che gettano scompiglio tra la popolazione. Questi dodici discepoli sono tutti ebrei. Anche Miriam, madre di Gesù, e Yosef, il padre putativo, sono a loro volta ebrei.
Secondo il racconto dei discepoli, una volta risorto, il maestro appare loro per 40 giorni e l’ultima volta, Gesù lascia loro il cosiddetto “grande mandato”, le Sue ultime volontà (Mt. 28): «Andate dunque e fate discepoli di tutte le nazioni insegnando loro di osservare tutte le cose che vi ho comandato..».
Nonostante il mandato evangelistico, i discepoli continuano a restare a Gerusalemme e non sembra abbiano affatto intenzione di muoversi di là, almeno inizialmente.
Succedono peraltro due fatti importanti. Il primo, durante la Pentecoste: si tratta della festa ebraica che ricorda il dono della Torà a Mosè sul M. Horeb, e il gruppo dei giudeo-cristiani, in centoventi, si ritrovano insieme, tutti rigorosamente ebrei, per la celebrazione. Siccome era una festa di pellegrinaggio, in cui cioè era di precetto recarsi a Gerusalemme, i giudeo cristiani riunitisi per l’occasione provenivano dalle più svariate nazioni dell’impero.
Quello su cui desidero soffermare l’attenzione è proprio l’elenco delle nazioni, citate nel libro degli Atti 2, 9-11, da cui provenivano questi ebrei: “Noi Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Galilea, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia che è di fronte a Cirene e noi residenti di passaggio da Roma, Giudei e proseliti (convertiti all’ebraismo), Cretesi e Arabi, li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue”.
Sono versetti importanti, una delle tante attestazioni storiche dell’estensione della diaspora ebraica al tempo di Gesù, che risale al 586 a.C. Nella lista compaiono molti di quei paesi che oggi destano in noi tanta preoccupazione e sono in un clima continuo di guerra civile.
Questi giudeo-cristiani di varia provenienza, quando rientrarono nelle loro comunità giudaiche d’origine annunciarono ai loro fratelli la follia del vangelo, alcuni l’accoglievano e altri no, ma comunque così si crearono le basi di appoggio per l’evangelizzazione di tutto quel mondo.
Il secondo fatto importante fu lo scatenarsi delle persecuzioni contro i giudeo-cristiani, a Gerusalemme, la lapidazione di Stefano, tanto per intenderci. Ecco che da allora, fuggirono in gran massa adempiendo, loro malgrado al mandato che Gesù aveva loro consegnato.
Chiaramente non fuggivano a caso ma si recavano nelle comunità giudaiche presenti nella diaspora e da lì iniziavano il processo di evangelizzazione. L’apostolo Paolo così fece ad Antiochia, Efeso, Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto fino a Roma. Prima fu evangelizzato l’Oriente e poi l’Occidente. Guardando ad Occidente Paolo scelse Roma come avamposto perché si trattava della capitale dell’impero e vantava la più antica comunità ebraica d’Europa, le cui origini risalgono alla conquista romana nel I sec. a.C. L’apostolo Paolo infatti si rivolge ad una comunità mista fatta di giudei-cristiani e pagani convertiti al Vangelo.
L’espansione evangelistica dei primi secoli è impressionante: l’Armenia è la prima nazione, nel 301 a dichiararsi ufficialmente cristiana, grazie alla predicazione in lingua armena del fondatore del cristianesimo armeno, Gregorio l’Illuminatore, creando così un legame etnico molto forte tra vangelo, lingua e dunque popolo armeno. Qui debbo aprire una parentesi sul genocidio degli armeni compiuto da parte del governo dei giovani turchi all’inizio del ‘900. In Turchia è ancora giudicato reato parlare di responsabilità turche nel genocidio del popolo armeno costato un milione e mezzo di morti e la diaspora dei superstiti.
In India, dove vi erano delle colonie giudaiche, la diffusione del Vangelo è attestabile fin dal II sec. e viene fatta risalire all’eredità dell’apostolo Tommaso, l’irriducibile ebreo che tanto filo da torcere diede a Gesù riguardo alla Sua resurrezione.
In Persia, vi è una tradizione cristiana ricchissima. Nel II sec. quando ancora il canone del Nuovo Testamento era in piena elaborazione e non circolavano tanto facilmente gli scritti, la chiesa dell’Asia possedeva già una versione siriaca dell’Antico Testamento, chiamata Peshitta per cui l’opera evangelistica avveniva su radice giudaica (l’A.T.) in lingua siriaca.
Anche in Africa, laddove vi erano colonie giudaiche, ecco che si diffonde il Vangelo a macchia d’olio: in Egitto con il centro di Alessandria e poi più ad ovest, a Cartagine, poi nel sud, in Nubia, fino all’Etiopia e l’Uganda.
Questo solo per tracciare un’idea di ciò che avvenne fino al 301.
Per evangelizzare non venivano usate strategie particolari. Il sistema più efficace fu il passa parola.
Tutto questo, non senza incontrare difficoltà e persecuzioni, fino all’espansione islamica.
Con Maometto si arrivò alla conquista islamica che non avvenne esattamente di bocca in bocca ma attraverso le armi, mediante l’assoggettamento forzato dei popoli. E fu veramente un cataclisma: Maometto morì nel 632. Sessant’anni dopo la sua morte, il dominio musulmano si era già esteso in gran parte di quello che era stato il Nord Africa romano. Poi, lo sappiamo bene, conquistarono la Spagna e, ad est si spinsero fino a Venezia. Se non era per Carlo Martello, che nel 732 respinse gli arabi a Poitiers, oggi potremmo essere tutti quanti sotto la shaaria.
Concludo la parte storica con un’affermazione che può sembrare paradossale ma in cui credo fermamente: chi vuole cancellare il volto di Dio dall’umanità, consapevolmente o meno, deve cominciare dagli ebrei per proseguire contro i cristiani. Dal 1948 in particolare, con la fondazione dello Stato d’Israele, migliaia di ebrei che risiedevano nei paesi islamici sono stati costretti a fuggire pena la morte. In Egitto, Tunisia, Libia, Arabia, Yemen, ecc. oggigiorno sono pochissimi gli ebrei che vi risiedono mentre i cristiani sono diventati sempre più l’oggetto delle persecuzioni. Parallelamente cresce l’odio verso Israele, lo Stato ebraico.
Capite bene che questa è una battaglia più grossa di noi. Ma noi non siamo soli. Dobbiamo però scegliere, oggi più che mai, da che parte schierarci prima che sia troppo tardi.
Questa non è una battaglia contro i musulmani ma anzi è anche in loro favore.
Nella pratica, cosa possiamo fare?
Prima di tutto, come coordinatrice delle relazioni con le chiese evangeliche desidero fare un appello all’unità dei cristiani. Magdi Cristiano ci offre una piattaforma concreta di confronto e di collaborazione per un’unità rispettosa delle diversità che si traduca in azione politica.
Partendo da un confronto leale sui valori essenziali in cui crediamo maggiormente (dalla sacralità della vita, alla libertà di pensiero e religione, dalla famiglia naturale al rispetto per le categorie più deboli) occorre appoggiare un programma di azione che si ispiri a quei principi e sia il più coerente possibile. Nessuno è perfetto ma abbiamo il dovere di portare avanti questa opera scegliendo responsabilmente da che parte stare impegnandoci individualmente per un autentico sviluppo morale del nostro paese e dunque per la sua vera crescita.
Grazie per l’attenzione, Silvia Baldi Cucchiara
Intervento di Silvia Baldi Cucchiara – Coordinatrice nazionale di ALI per le relazioni con le Chiese Evangeliche e le Comunità Ebraiche in Italia
Un saluto e un ben trovati a tutti,
prima di addentrarmi nell’intervento, desidero sottolineare che questo nostro incontro, cade in una settimana particolare dedicata alla “Giornata della memoria” della Shoà, i crimini nazisti che hanno visto lo sterminio di sei milioni di persone uccise semplicemente perché ebree, nel cuore del nostro continente e, nella liturgia, la settimana per l’unità dei cristiani.
Mi allaccio inoltre all’invito che il nostro capo dello Stato, Presidente G. Napolitano, ha rivolto all’inizio di quest’anno, a tutti gli italiani, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, quello cioè di riprendere coscienza delle radici della nostra storia. Poiché mi occupo in particolare di radici ebraiche del cristianesimo, ho pensato che il contributo migliore che potessi offrire a questa nostra conferenza, fosse quello di ripercorrere alcune tappe importanti sull’origine e il primo sviluppo del cristianesimo. Non perché si sia o si debba essere tutti cristiani ma proprio perché, a prescindere da ciò in cui crediamo, il giudeo-cristianesimo è e rimane un pilastro assolutamente fondante della nostra società di cui tutti dobbiamo approfondire la portata e il significato. Porto dunque questo mio contributo ai tragici fatti recentemente avvenuti e tuttora in atto contro i cristiani in tanti paesi di area islamica, con la speranza, che per me è una certezza, che conoscere meglio la storia ci aiuti a prevenire e a combattere il male.
La chiesa, intesa non tanto come istituzione gerarchica ma come assemblea di discepoli che riconoscono in Gesù il Messia d’Israele e il salvatore dell’umanità, nasce con una localizzazione geografica precisa e non casuale a Gerusalemme, circa duemila anni fa. Il fondatore di questo movimento è un giovane ebreo, tale Yeshua mi Natzeret, Gesù di Nazaret. I discepoli che si raccolgono accanto a Lui credono che questo loro giovane maestro sia morto sulla croce come sacrificio espiatorio del peccato degli uomini e che dopo tre giorni sia risorto. Ciò che desta maggiore scalpore e preoccupazione presso le autorità civili romane e quelle religiose giudaiche del tempo è soprattutto il fatto che, nonostante la morte del fondatore, in tutta la regione, nel Suo nome, continuino ad accadere fatti straordinari, guarigioni, liberazioni e miracoli, che gettano scompiglio tra la popolazione. Questi dodici discepoli sono tutti ebrei. Anche Miriam, madre di Gesù, e Yosef, il padre putativo, sono a loro volta ebrei.
Secondo il racconto dei discepoli, una volta risorto, il maestro appare loro per 40 giorni e l’ultima volta, Gesù lascia loro il cosiddetto “grande mandato”, le Sue ultime volontà (Mt. 28): «Andate dunque e fate discepoli di tutte le nazioni insegnando loro di osservare tutte le cose che vi ho comandato..».
Nonostante il mandato evangelistico, i discepoli continuano a restare a Gerusalemme e non sembra abbiano affatto intenzione di muoversi di là, almeno inizialmente.
Succedono peraltro due fatti importanti. Il primo, durante la Pentecoste: si tratta della festa ebraica che ricorda il dono della Torà a Mosè sul M. Horeb, e il gruppo dei giudeo-cristiani, in centoventi, si ritrovano insieme, tutti rigorosamente ebrei, per la celebrazione. Siccome era una festa di pellegrinaggio, in cui cioè era di precetto recarsi a Gerusalemme, i giudeo cristiani riunitisi per l’occasione provenivano dalle più svariate nazioni dell’impero.
Quello su cui desidero soffermare l’attenzione è proprio l’elenco delle nazioni, citate nel libro degli Atti 2, 9-11, da cui provenivano questi ebrei: “Noi Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Galilea, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia che è di fronte a Cirene e noi residenti di passaggio da Roma, Giudei e proseliti (convertiti all’ebraismo), Cretesi e Arabi, li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue”.
Sono versetti importanti, una delle tante attestazioni storiche dell’estensione della diaspora ebraica al tempo di Gesù, che risale al 586 a.C. Nella lista compaiono molti di quei paesi che oggi destano in noi tanta preoccupazione e sono in un clima continuo di guerra civile.
Questi giudeo-cristiani di varia provenienza, quando rientrarono nelle loro comunità giudaiche d’origine annunciarono ai loro fratelli la follia del vangelo, alcuni l’accoglievano e altri no, ma comunque così si crearono le basi di appoggio per l’evangelizzazione di tutto quel mondo.
Il secondo fatto importante fu lo scatenarsi delle persecuzioni contro i giudeo-cristiani, a Gerusalemme, la lapidazione di Stefano, tanto per intenderci. Ecco che da allora, fuggirono in gran massa adempiendo, loro malgrado al mandato che Gesù aveva loro consegnato.
Chiaramente non fuggivano a caso ma si recavano nelle comunità giudaiche presenti nella diaspora e da lì iniziavano il processo di evangelizzazione. L’apostolo Paolo così fece ad Antiochia, Efeso, Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto fino a Roma. Prima fu evangelizzato l’Oriente e poi l’Occidente. Guardando ad Occidente Paolo scelse Roma come avamposto perché si trattava della capitale dell’impero e vantava la più antica comunità ebraica d’Europa, le cui origini risalgono alla conquista romana nel I sec. a.C. L’apostolo Paolo infatti si rivolge ad una comunità mista fatta di giudei-cristiani e pagani convertiti al Vangelo.
L’espansione evangelistica dei primi secoli è impressionante: l’Armenia è la prima nazione, nel 301 a dichiararsi ufficialmente cristiana, grazie alla predicazione in lingua armena del fondatore del cristianesimo armeno, Gregorio l’Illuminatore, creando così un legame etnico molto forte tra vangelo, lingua e dunque popolo armeno. Qui debbo aprire una parentesi sul genocidio degli armeni compiuto da parte del governo dei giovani turchi all’inizio del ‘900. In Turchia è ancora giudicato reato parlare di responsabilità turche nel genocidio del popolo armeno costato un milione e mezzo di morti e la diaspora dei superstiti.
In India, dove vi erano delle colonie giudaiche, la diffusione del Vangelo è attestabile fin dal II sec. e viene fatta risalire all’eredità dell’apostolo Tommaso, l’irriducibile ebreo che tanto filo da torcere diede a Gesù riguardo alla Sua resurrezione.
In Persia, vi è una tradizione cristiana ricchissima. Nel II sec. quando ancora il canone del Nuovo Testamento era in piena elaborazione e non circolavano tanto facilmente gli scritti, la chiesa dell’Asia possedeva già una versione siriaca dell’Antico Testamento, chiamata Peshitta per cui l’opera evangelistica avveniva su radice giudaica (l’A.T.) in lingua siriaca.
Anche in Africa, laddove vi erano colonie giudaiche, ecco che si diffonde il Vangelo a macchia d’olio: in Egitto con il centro di Alessandria e poi più ad ovest, a Cartagine, poi nel sud, in Nubia, fino all’Etiopia e l’Uganda.
Questo solo per tracciare un’idea di ciò che avvenne fino al 301.
Per evangelizzare non venivano usate strategie particolari. Il sistema più efficace fu il passa parola.
Tutto questo, non senza incontrare difficoltà e persecuzioni, fino all’espansione islamica.
Con Maometto si arrivò alla conquista islamica che non avvenne esattamente di bocca in bocca ma attraverso le armi, mediante l’assoggettamento forzato dei popoli. E fu veramente un cataclisma: Maometto morì nel 632. Sessant’anni dopo la sua morte, il dominio musulmano si era già esteso in gran parte di quello che era stato il Nord Africa romano. Poi, lo sappiamo bene, conquistarono la Spagna e, ad est si spinsero fino a Venezia. Se non era per Carlo Martello, che nel 732 respinse gli arabi a Poitiers, oggi potremmo essere tutti quanti sotto la shaaria.
Concludo la parte storica con un’affermazione che può sembrare paradossale ma in cui credo fermamente: chi vuole cancellare il volto di Dio dall’umanità, consapevolmente o meno, deve cominciare dagli ebrei per proseguire contro i cristiani. Dal 1948 in particolare, con la fondazione dello Stato d’Israele, migliaia di ebrei che risiedevano nei paesi islamici sono stati costretti a fuggire pena la morte. In Egitto, Tunisia, Libia, Arabia, Yemen, ecc. oggigiorno sono pochissimi gli ebrei che vi risiedono mentre i cristiani sono diventati sempre più l’oggetto delle persecuzioni. Parallelamente cresce l’odio verso Israele, lo Stato ebraico.
Capite bene che questa è una battaglia più grossa di noi. Ma noi non siamo soli. Dobbiamo però scegliere, oggi più che mai, da che parte schierarci prima che sia troppo tardi.
Questa non è una battaglia contro i musulmani ma anzi è anche in loro favore.
Nella pratica, cosa possiamo fare?
Prima di tutto, come coordinatrice delle relazioni con le chiese evangeliche desidero fare un appello all’unità dei cristiani. Magdi Cristiano ci offre una piattaforma concreta di confronto e di collaborazione per un’unità rispettosa delle diversità che si traduca in azione politica.
Partendo da un confronto leale sui valori essenziali in cui crediamo maggiormente (dalla sacralità della vita, alla libertà di pensiero e religione, dalla famiglia naturale al rispetto per le categorie più deboli) occorre appoggiare un programma di azione che si ispiri a quei principi e sia il più coerente possibile. Nessuno è perfetto ma abbiamo il dovere di portare avanti questa opera scegliendo responsabilmente da che parte stare impegnandoci individualmente per un autentico sviluppo morale del nostro paese e dunque per la sua vera crescita.
Grazie per l’attenzione, Silvia Baldi Cucchiara