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“Dall’appropriazione indebita all’espropriazione: alle radici della formazione del pregiudizio antiebraico nel cristianesimo”.
Estratto della relazione tenuta per l’Associazione Adei-Wizo – Donne Ebree d’Italia, a Livorno il 28 Aprile 2011.
Saluti e ringraziamenti: alla Presidente dell’Adei-Wizo di Livorno Silvia Ottolenghi Bedarida, alla Prof.ssa Daniela Sarfatti, a Guido e Carla Guastalla per l’accoglienza e a tutta la Comunità ebraica di Livorno. (…)
Mi chiamo Silvia Baldi e da circa venti anni mi occupo di “Radici Ebraiche del Cristianesimo”, in particolar modo all’Università di Firenze e presso la Facoltà Pentecostale di Scienze Religiose ad Aversa (CE), dove da quest’anno mi è stato affidato anche un corso di Storia dell’Amicizia Ebraico-Cristiana, argomento di discussione della mia tesi di laurea nel 1992, che ha rappresentato per me la carta d’ingresso in un ambito di ricerca che ritengo un vero privilegio percorrere.
Nel mio percorso formativo, parallelamente allo studio universitario, si sono concatenati alcuni fatti importanti e molto particolari, che mi hanno permesso di crescere non solo da un punto di vista intellettuale e conoscitivo ma anche come persona, contribuendo cioè a sviluppare in me una sensibilità, direi, un po’ più affinata del solito riguardo all’argomento. Questi fatti in particolare sono stati: la conoscenza di una compagna di università ebrea, Lia Servi, con cui siamo diventate carissime amiche; e i ripetuti viaggi, tra cui un soggiorno prolungato di un anno, nella terra d’Israele, Eretz Israel. Ad oggi, con mio marito qui presente, posso dire in tutta tranquillità che Israele è per noi e per la nostra famiglia, la nostra seconda casa.
Devo ad Israele, e dunque al popolo ebraico, tutto quello che di più bello e di più prezioso ho: (1) la fede cristiana riscoperta ma è più esatto dire scoperta per la prima volta, attraverso Israele, nella sua pienezza e interezza; (2) il valore recuperato della sacralità della vita che purtroppo per trascorsi famigliari dolorosi (sono orfana di madre e di padre) avevo completamente perduto e c’è stato un periodo per me in cui parlare di valore della vita non aveva pressoché alcun senso. Israele, gli stessi amici della Comunità ebraica di Firenze, mi hanno aiutato a recuperare questo valore; (3) infine il recupero di un senso di identità profondamente radicato, di quella che io chiamo la coscienza radicata che mi ha permesso e mi permette tutt’oggi di essere una fonte di benedizione anche per gli altri.
In qualsiasi ambito mi trovi ad operare, sostengo sempre la stessa cosa: approfondire e conoscere le radici ebraiche del cristianesimo non può e non deve essere ritenuto un ambito di studio specialistico.
Purtroppo, troppo spesso, scusate il gioco di parole, i cristiani si sono appropriati di categorie ebraiche senza neanche dire grazie. Questo è avvenuto sia in ambito religioso (con l’appropriazione delle Scritture ma non solo) che civile (istituzione di tribunali, ospedali ecc.). Il fenomeno che Rendtorff, emerito professore di Storia dell’Antico Testamento, chiama di appropriazione, ed io aggiungo appropriazione indebita, e la conseguente espropriazione di concetti e tesori ebraici da parte dei cristiani è purtroppo una storia lunga duemila anni. Giancarlo Rinaldi, in un interessante studio comparso in Quando i cristiani erano ebrei, parla dell’appropriazione di tutte le categorie portanti del cristianesimo, di concetti quali: Regno di Dio, Figlio dell’uomo, Messia, resurrezione, giudizio ecc. che non avrebbero alcun significato al di fuori del giudaismo.
La chiesa del resto, non intesa come istituzione gerarchica, né tanto meno come edificio architettonico, ma, nel senso più etimologico del termine ekklesia in greco, kehilà in ebraico, congregation in inglese, intesa dunque come convocazione, assemblea di discepoli che riconobbero in Gesù, il loro Messia, non nasce cristiana.
Il termine stesso “cristiano” è un’acquisizione posteriore rispetto all’origine del movimento. In tutto il Nuovo Testamento il termine compare solo tre volte (At. 11,26; 26,28; 1 Pt. 4,16) e sempre attribuito dall’esterno, cioè non è un nome scelto dagli aderenti al movimento ma un’etichetta, una denominazione applicata da chi era al di fuori del movimento. (…)
La chiesa dunque, intesa come assemblea di discepoli, nasce ebraica al cento per cento, con una localizzazione geografica specifica e non casuale, a Gerusalemme, circa duemila anni fa.
Il fondatore di questo movimento è un giovane ebreo, Gesù, nato a Betlemme di Giuda nel 4 prima dell’era cristiana. Il suo nome originale è Yeshua miNatzeret, Gesù di Nazaret, un tipo strano, particolare, come del resto accade, oggi come allora, a molti ebrei. I suoi genitori ebrei si chiamano Miriàm e Yosef. (…) Lo stesso nome Yeshua, in ebraico vuol dire Dio salva. Gesù in italiano, dal punto di vista etimologico, non vuol dire niente.
Ebrei erano Gesù e la sua famiglia. Rigorosamente ebrei erano i primi dodici apostoli (Mt. 10,1-6) e poi i settanta (Lu. 10,1) che si unirono, e i centoventi (At. 1,15; 2,5) che si trovarono nel Cenacolo nel giorno di Shavuot, Pentecoste, che non è una festa inventata dai cristiani (quanti cristiani sanno questo?) ma è la festa mosaica del dono della Torà. E ancora ebrei erano i tremila (At. 2,41) che si aggiunsero alla prima predicazione di Shimon Keifa, tradotto in italiano Simon Pietro. (…)
Peraltro, i cristiani, in particolare nel II secolo, un secolo che li vede occupati ad affrontare varie sfide come il problema della definizione della propria identità, la scelta di affermare o meno la continuità lineare tra Israele e la Chiesa e anche il problema della formazione del canone biblico. In questo tempo, che vogliamo dunque riconoscere carico di sfide, i cristiani non riuscirono a fare di meglio se non definire se stessi contro gli ebrei.
Pensiamo a tutto il Tanach, le Scritture ebraiche (o Antico Testamento), di cui i cristiani si sono completamente appropriati fino ad espropriare completamente gli ebrei dalle loro Scritture, sostenendo che la Chiesa era diventata il verus Israel che avrebbe sostituito l’originario Israele, rigettato e maledetto da Dio. (…)
Come hanno fatto i cristiani ad appropriarsi così indebitamente di Scritture assolutamente non loro? Mediante l’uso dell’allegoria che fa dire tutto e il contrario di tutto.
L’allegorismo è una tecnica di lettura di testi che era nata in margine alla letteratura omerica. Il primo a leggere in chiave allegorica quanto era scritto riguardo agli dèi dei poemi omerici fu Teagene di Reggio nel VI sec. prima dell’era cristiana (Rinaldi in Piero Stefani, pp.87-89) . Questa tecnica nata per interpretare i miti omerici fu applicata dai cristiani sulle Scritture ebraiche per appropriarsi di questi testi e dare loro quello che fu poi riconosciuto come unico e vero significato delle Scritture. È Origene che teorizzerà compiutamente questa tecnica interpretativa che diverrà di uso normale in tutta la cristianità. È attraverso di essa che si diffonderà la teologia della sostituzione e cioè che tutte le benedizioni attribuite biblicamente ad Israele, con l’avvento del cristianesimo, sono passate integralmente alla chiesa. (…)
Questo tipo di comportamento (appropriazione ed espropriazione senza un minimo di riconoscimento) altro non è che furto. Per essere ancora più chiara ed esplicita, il cristianesimo stesso vissuto senza radice, sradicato dalla sua origine ebraica, altro non è che un furto e, in quanto tale incapace di operare il bene che è chiamato a fare per diventare, peggio ancora, generatore di male. La Shoà, lo sterminio organizzato di sei milioni di vite umane, uc
cise semplicemente perché ebree (Jules Isaac) nel cuore dell’Europa sedicente cristiana è l’enorme iceberg di questo male. Ma prima di questo, ci sono 1940 anni di storia dell’insegnamento del disprezzo perpetrato dal cristianesimo a danno degli ebrei.
Tutto questo, voi lo sapete meglio di me, non si cancella in un attimo con un colpo di spugna ed è criminoso affermare che appartenga solo al passato. Per questo (…) la questione delle radici giudaico-cristiane (…) è importante soprattutto per i cristiani e la comprensione della loro stessa identità (…).
Il 24 marzo 1933 si instaurò in Germania la dittatura nazista. Due mesi dopo con il 70 per cento (Rentorff, p. 48) degli elettori cristiani a favore, fu fondata la Chiesa evangelica tedesca, cioè i cosiddetti “Cristiani tedeschi” o “Chiesa del Reich” che con l’obiettivo di superare il frammentarismo della chiesa evangelica volle trasformare la Federazione delle Chiese evangeliche tedesche in un’unica grande “Chiesa del Reich”. Vale la pena di sottolineare che il 70 per cento delle chiese vi aderirono. Nel manifesto rappresentativo dei Cristiani tedeschi venne chiesta l’abolizione dell’Antico Testamento, la de-giudaizzazione della chiesa e l’introduzione del «paragrafo ariano» che imponeva gravi limitazioni a pastori e funzionari della chiesa che fossero «non ariani» (R. Betghe e C. Gremmels, p. 66).
Solo una minoranza si rifiutò, tra questi il pastore teologo Dietrich Bonhoeffer che diede vita alla chiesa confessante poi divenuta illegale e clandestina, della Germania nazista. Lui ebbe a dire un giorno: “Soltanto chi alza la voce in favore degli ebrei ha il diritto di cantare il gregoriano”. Prima del suo arresto e della sua esecuzione per ordine diretto di Hitler, nel campo di concentramento di Flossenburg, il 9 aprile 1945, 25 dei suoi studenti furono chiamati alle armi e cadranno sul fronte (Bonhoeffer, p.18). Bonhoeffer ha lasciato un patrimonio immane di riflessione nelle opere che ha scritto prima e durante la prigionia. Invito prima di tutto i cristiani a prenderle in considerazione.
Prendo come esempio la chiesa evangelica tedesca perché io stessa appartengo a questa denominazione e credo sia importante che ciascuna confessione cristiana impari ad ammettere le proprie responsabilità. Peraltro la Germania di oggi rappresenta uno dei paesi europei maggiormente coinvolti nella lotta contro l’antisemitismo e nel sostegno incondizionato verso lo Stato d’Israele come lo ha più volte dimostrato il cancelliere tedesco Angela Merkel.
Non possiamo permetterci il lusso di scandalizzarci: il 70 per cento delle chiese evangeliche aderì alla Chiesa del Reich, anche dietro il miraggio di una fantomatica chiesa grande e unita che in nome di questa supposta unità ebbe a sacrificare il bene più grande: Cristo stesso. Io non posso sapere da che parte sarei stata allora. Veramente non lo posso sapere. Tremo al solo pensiero Ma ho il dovere di vegliare su me stessa, sui miei confratelli e su tutto ciò che mi circonda affinché certe cose non si ripetano più e, in ogni caso, per sapere con assoluta certezza, da che parte stare:
“Sei un discepolo di Gesù? Allora mostra un briciolo di coraggio: stai pubblicamente e incondizionatamente dalla parte di Israele”. Non sarà certamente una scelta popolare da 70 per cento ma almeno, riguardo a questo, potremo essere sicuri di fare sonni tranquilli.
Un cordiale shalom a tutti, Silvia Baldi Cucchiara
Bibl. essenziale: ATTILIO AGNOLETTO, Storia del Cristianesimo, I.P.L., Milano 1981²; GIUSEPPE BARBAGLIO, Gesù ebreo di Galilea, Indagine storica, Edizioni Dehoniane, Bologna 2003; DIETRICH BONHOEFFER, Una pastorale evangelica, Claudiana, Torino 2005²; (a cura di) RENATE BETGHE E CHRISTIAN GREMMELS, Dietrich Bonhoeffer, Una biografia per immagini, trad. it., Claudiana, Torino 2005; MURRAY DIXON, Israel, Land of God’s Promise, Sovereign World, England 2006²; SALOMON MALKA, Gesù riconsegnato agli ebrei, Piemme, Asti 2000; ROLF RENDTORFF, Cristiani ed ebrei oggi, trad. it., Claudiana, Torino 1999; (a cura di) PIERO STEFANI, Quando i cristiani erano ebrei, Morcelliana, Brescia 2010.
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