Attraverso le epoche e le varie dominazioni, la celebre regione del Vicino Oriente è stata designata con nomi diversi tra loro sia per origine che per significato. Con questo modesto contributo s’intende ripercorrere alcune tappe storiche significative correlandole al valore originario di alcuni termini che contribuirono a definire in modi differenti questo controverso territorio.

Come prima fonte di riferimento, vista la sua autorevolezza e vetusta tradizione, considereremo la Bibbia composta, secondo la ripartizione classica della tradizione cristiana, da Scritture ebraiche (Antico Testamento) e Nuovo Testamento.
Tra i termini geografici che ritroviamo nelle Scritture ebraiche, quello solitamente usato è Terra di Canaan (porpora). Esso si rifà al nome della popolazione indigena che vi abitava all’epoca dello stanziamento delle tribù israelitiche (XIII sec. a.C. circa), particolarmente dedita al commercio della porpora (Ge. 12,5-6; 13,12; 16,3; 17,8; Es. 6,4; Le. 25,38; Nu. 34,2 e 29; ecc., ecc.).
Tra i popoli cananei di varia estrazione (Testi di esecrazione), vi sono ad esempio i fenici che chiamavano sé stessi kananiti e abitavano nella fascia costiera settentrionale del territorio, l’attuale Libano, fondando importanti città stato come Tiro e Sidone.
Nella Bibbia troviamo inoltre il termine Israele che deriva da Giacobbe, chiamato appunto Israele (Ge. 32,28), il grande patriarca figlio di Isacco e antenato delle dodici tribù. Il termine indica il territorio che queste occupavano all’epoca dei Giudici (XIII-XII sec. a.C.) e durante il regno di Davide e Salomone (XI-X sec. a.C.). Al tempo delle lotte interne regali con l’avvento della monarchia e, in particolare, al tempo di Davide, la Bibbia distingue nettamente tra figli d’Israele e figli di Giuda in riferimento ai due regni (930 a.C.). Il termine Israele è risorto con la formazione dell’attuale stato israeliano come entità geografica e politica (1948).
Infine considereremo il termine Palestina cominciando con una riflessione scaturita dal Nuovo Testamento.
Ad una ricerca mirata, balza agli occhi che in tutto il corpus di testi che compongono il Nuovo Testamento, non una sola volta compare il termine Palestina. Il Nuovo Testamento ignora completamente questo termine poiché esso non esisteva ai tempi di Gesù. Pertanto, diversamente dall’uso che tanto spesso ritroviamo nei testi moderni, l’espressione “la Palestina ai tempi di Gesù” è a tutti gli effetti un anacronismo e pertanto è sbagliata. Gli evangelisti parlano invece delle differenti regioni: Galilea, Samaria e Giudea, e quando devono chiamare per nome la terra della Bibbia, usano il termine Terra d’Israele (Mt. 2,20-21; 8,10; 10,23; Lu. 4,25; Ef. 2,12).
Nelle Scritture ebraiche (A.T.) invece compare la Filistia (fleshet: Es. 15,14; Is. 14,29), da cui deriva appunto il termine Palestina, detta anche terra dei filistei (eretz plishtim: Ge. 21,32,34, ecc.).
La popolazione dei filistei compare nella cosiddetta “lista dei popoli del mare”, un geroglifico egiziano del XIII-XII sec. a.C. in cui, ricordando le gesta dei faraoni, viene menzionato come questi respinsero abilmente le invasioni dei cosiddetti “popoli del mare”, particolarmente noti per la loro violenza. Tra questi, vi è appunto quello dei filistei. Essi vengono rappresentati come una sorta di pirati predatori che vivevano di saccheggi e di usurpazioni. Nessuna fonte documentativa proviene dal loro interno. Grazie alle fonti bibliche, ai testi e alle incisioni egiziane è possibile tracciarne la storia.
Secondo le ricostruzioni, essi raggiunsero l’Egitto con le loro forti imbarcazioni, provenienti dall’isola di Creta e dall’Egeo, razziando tutto ciò che trovavano. Dopo la clamorosa sconfitta inflitta loro dagli egiziani, i filistei ripiegarono nel territorio di Canaan (XIII-XII sec.), si insediarono dal lato del mare (ovest), occupando tutto il lato meridionale (attuale striscia di Gaza), scacciando i cananei e fondando sul loro territorio cinque città stato: Ashdod, Ashkalon, Ekron, Gat e Gaza, la cosiddetta pentapoli filistea.
Alla stessa epoca (XIII sec. a.C.) risale l’uscita dall’Egitto del popolo ebraico e il loro conseguente insediamento nella terra di Canaan. Ma mentre gli ebrei entravano da est, cioè da oltre il Giordano, i filistei penetravano dal lato opposto, da ovest, cioè dal mare.
La ricerca di nuovi territori li spinse sempre più all’interno minacciando pericolosamente e a più riprese le tribù israelitiche che in quella fase di passaggio da un sistema di vita nomade a quello stanziale, non possedevano alcun esercito equipaggiato né sistemi adeguati di difesa. Insomma, gli ebrei di quei tempi non facevano paura a nessuno, figuriamoci ai filistei. Per ciò, essi rappresentarono gli acerrimi nemici di Israele, sconfitti definitivamente dalla gloriosa figura del Re David che, unificando le tribù sotto la sua sovranità, garantì ad Israele la formazione di un esercito degno di essere chiamato tale.
Nel 135, all’epoca della seconda rivolta giudaica, l’imperatore Adriano, compiendo uno dei vari tentativi di “soluzione finale” periodicamente inflitte al popolo ebraico nel corso della storia, per sottolineare la definitiva conquista di quella terra cancellò il nome Israele sostituendolo con quello della provincia Siro Filistia, cioè Palestina. Anche Gerusalemme, unica città definita santa (Is. 52,1) nelle Scritture, fu cancellata e, dopo essere stata rasa al suolo definitivamente, le venne imposto il nome pagano di Aelia Capitolina (la Roma d’Oriente). Da quel momento in poi, agli ebrei fu proibito entrarvi. I sopravvissuti si ritirarono ad ovest (Yavne) e a nord, sul Mar di Galilea (Tiberiade) che divenne la culla e l’àncora di salvezza del giudaismo di quel tempo. Per cercare di far comprende meglio la gravità dell’operazione compiuta da Adriano nei confronti di Israele, occorre immaginare un parallelismo: è come se Bossi, con un colpo di stato, s’impossessasse del Parlamento italiano e, dopo aver raso al suolo Roma, cancellasse il nome Italia e lo sostituisse con quella della regione Lombardia o Padania, mentre Roma diventasse la Bossi Milanese. Per quanto l’avidità umana possa arrivare a compiere gesti di tale gravità, la profonda ingiustizia su cui sarebbe fondato questo orrido stato, prima o poi finirebbe per ricadere sullo stato stesso, poiché nessuna menzogna, per quanto possa essere gridata a voce alta, potrà mai prevalere definitivamente. E così,  seppure con tempi umanamente lunghissimi, è stato anche per Israele.
Più recentemente, dopo il 1915, il termine Palestina è venuto ad indicare la regione amministrata dal Mandato Britannico e poi rivendicato come designazione del territorio abitato dalla popolazione araba (palestinesi) assumendo pertanto una colorazione politica.
La terra è del Signore, creatore di tutto l’universo. È Lui che sceglie di darla a chi vuole contro ogni arroganza e presunzione umana: «Quando l’Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell’uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli israeliti. Perché porzione del Signore è il suo popolo, Giacobbe è la sua eredità. Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio» (De. 32, 8-10).Un caro saluto e benedizioni a tutti, shalom ‘al Israel, sia pace su Israele, Silvia Baldi Cucchiara.

Bibliografia essenziale:

The Holy Scriptures, Hebrew and English, Jerusalem 1997; Paolo Acquistapace (a cura di) Guida biblica e turistica della terra santa, Istituto di Propaganda Libraria, Milano 1997; Lavinia e Dan Cohn-Sherbok, Breve storia dell’ebraismo, Mulino, Bologna 2001; Abraham Joshua Heschel, La terra è del Signore, Marietti, Genova, 1989. Voce Palestina, Enciclopedia Treccani; Citazioni bibliche tratta da La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, ed. 1985.

 

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