Ghilad è tornato a casa.
Impazziscono i siti israeliani.
Pulsano di una vita che solo là si può respirare.
La vita pulsa così forte
che perfino dal mio computer non ci si può staccare.
Ghilad è tornato a casa.
1953 giorni di prigionia, scrive il sito Hatikvà,
1+9+5+3=18 che in ebraico sta per chayym, cioè vita.
Sono proprio matti questi israeliani.
Matti da vivere, nonostante tutto.
Ghilad è tornato a casa.
Ma lo spirito di morte
l’ha tormentato fino all’ultimo istante:
l’intervista estorta dalla tv egiziana
è stata semplicemente crudele.
Crudele.
Ancora crudele.
Ghilad è tornato a casa.
Un agnello da macello,
scampato al macello.
“La paura che non saresti tornato
ci ha massacrato il cuore”,
canta appositamente per lo straordinario evento
Arik Einstein, la voce israeliana
più famosa del Paese
che ebbe da immortalare
ben più tristi momenti (l’assassinio di Isaac Rabin).
Ghilad è tornato a casa.
Impazziscono i siti:
“Amiamo i nostri figli
più di quanto odiamo i nostri nemici”.
“Chi salva una vita,
salva l’umanità”.
E ancora canta Arik Einstein:
“Sarai sempre un eroe,
perciò piangere ti è concesso.
Non è affatto facile
perdonare il destino”.
Sono matti questi israeliani:
perdonare il destino?
Non c’è posto per l’odio verso gli uomini.
È un lusso che si paga troppo caro in quel Paese.
Ghilad è tornato a casa:
un essere umano non ha prezzo.
E pieno d’una fierezza rara,
Bibi ricorda al suo popolo il patto Tzahal (l’esercito israeliano):
“Nessun nostro soldato
non farà ritorno”.
Ghilad è tornato a casa:
un inno alla Vita che tutti vorremmo fermare.
Fermare il tempo, fermare l’attimo
per proiettarlo verso l’eternità:
è forse questo ciò che si prova in Cielo?
Silvia Baldi Cucchiara