Premesso che non ho nulla contro il Natale di cui piuttosto apprezzo l’atmosfera famigliare e l’occasione che ogni anno offre di ricordare la nascita di Gesù, data certamente fittizia ma comunque simbolica di un fatto universalmente riconosciuto come veritiero dagli storici di ogni formazione (nessuno infatti mette più in discussione che sia realmente vissuto il figlio del falegname di Nazaret, è semmai il valore che viene attribuito alla sua persona che certamente è discordante); premesso inoltre che non ho nulla contro i regali fatti in maniera sobria e che includano magari qualche dono extra da fare a chi non gode i nostri stessi privilegi (se è vero, per chi ci crede, che Gesù è il dono più grande che Dio poteva fare agli uomini – Gv. 3,16, perché non ricordare l’evento con un momento di scambio reciproco di doni che siano peraltro strumento e non fine del fatto centrale ricordato?), quello su cui desidero soffermarmi sono invece le radici giudaiche della fede cristiana. In un mondo in cui siamo sempre più indotti a spingerci in avanti, la mancanza di attenzione verso la radice, l’origine del nostro essere cristiani, può proiettarci verso direzioni disattese, non volute e pure pericolose. Si rischia per esempio di far coincidere il Natale con la festa di Babbo Natale che, per quanto possa rimanermi simpatico, è solo una figura immaginaria, vuota di contenuti.
Con questo piccolo contributo, cercheremo invece di capire cosa festeggiavano i cristiani quando erano ebrei.
Nel Nuovo Testamento si ritrova un solo riferimento che è proprio sulla figura di Gesù: “Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno. Gesù passeggiava nel Tempio, sotto il portico di Salomone” (Gv. 10,22).
Quest’anno per una circostanza felice, Natale cade nella settimana in cui gli ebrei celebrano la festa della Dedicazione, detta anche festa delle Luci o Chanukkà. Poiché il calendario ebraico è lunisolare, il computo dei giorni non corrisponde al nostro ed è quindi un evento quando le festività coincidono perfettamente.
Gesù da buon ebreo, educato in una famiglia ebraica osservante, il 25 del mese di Kislev, si trovava al Tempio per adorare e ricordare insieme al suo popolo ciò che era accaduto nel 165 a.C. Chanukkà infatti non è una festa mosaica ma è d’inserimento posteriore, la sua osservanza è riportata nel Talmud ed è biblica solo parzialmente grazie alle Scritture cristiane che ne tramandano il ricordo (I-II Maccabei ed Evangelo di Giovanni).
In quel tempo a Gerusalemme, vi era ancora il grandioso Tempio, santuario puramente monoteista, dove gli ebrei di tutto il mondo, almeno tre volte l’anno, andavano ad adorare il loro Dio.
Il re siriano Antioco IV (174-164) non contento della conquista materiale della Giudea, volle condurre a forza gli ebrei all’ellenismo, costringendoli ad adorare le divinità pagane. Il culmine del tentativo di ellenizzazione fu la dissacrazione del Tempio di Gerusalemme con l’inserimento della statua di Zeus e l’esecuzione di sacrifici di maiali.
Grazie all’opposizione armata capeggiata da Giuda Maccabeo, nel 165 a.C. gli ebrei riuscirono a cacciare via i siri da Gerusalemme e a riconquistare il Tempio. Una volta ripulito da tutte le esecrazioni, esso venne riconsacrato e dunque dedicato all’unico Dio. Parte fondamentale di questa dedicazione era l’accensione del lume eterno (ner tamid) per cui serviva un olio puro, santificato con un procedimento che impiegava vari giorni. Si racconta che in quel gran subbuglio della riconquista gerosolimitana, gli ebrei riuscirono a trovare una sola ampolla d’olio che poteva bastare per un giorno soltanto. Per miracolo, quel poco olio invece durò uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette e infine otto giorni, il tempo necessario per riprodurre altro olio santo da aggiungere. Ecco perché viene chiamata anche festa delle Luci. Il candelabro, chanukkiyà, che si accende per la festività ha dunque otto braccia (i giorni del miracolo), più un nono che rappresenta l’ampolla di servizio (shammash o servitore).
Gesù nel Tempio, per la festa della Dedicazione, con la sua stessa persona, chissà quante cose voleva insegnarci: che il tempio più importante è ogni essere umano; che anche questo ha bisogno di essere ripulito per essere poi consacrato nuovamente a Dio; che aldilà del miracolo contingente è possibile un miracolo permanente poiché lui stesso poco prima aveva detto: “Io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv. 8,12).
Le luci del candelabro si spegneranno dopo il nono giorno; quelle di Natale, dopo l’epifania.
Possano i nostri cuori essere illuminati di vera luce, quella sola che può illuminare ogni nostra tenebra e, attraverso di noi, diffondere luce a chi ci sta vicino.
Chag Chanukkà sameach e buon Natale a tutti voi.
Bibliografia minima:
KEVIN J. CONNER, The Feasts of Israel, Bible Temple Publishing, Portland, Oregon 1980; ERNST GUGENHEIM, L’ebraismo nella vita quotidiana, Giuntina, Firenze 1994; JAKOB J. PETUCHOWSKY, Le feste del Signore, Edizioni Dehoniane Roma, 1995; NORMAN SOLOMON, Ebraismo, Einaudi, Torino 1999; Citazioni bibliche tratte da La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 1985.
Silvia Baldi Cucchiara