La notizia corre fin da subito,  più veloce di qualsiasi pensiero. Davanti alla Scuola ebraica, il Liceo “’Otzar Ha-Torà” (Il Tesoro della Torà), sono state uccise quattro persone: un giovane rabbino di 30 anni, Jonathan Sandler, docente di Torà presso la stessa scuola, due dei suoi figli, Arié e Gabriel, e Miriam Monsonego, la figlia del direttore del liceo. Quest’ultima è stata rincorsa dall’assassino fin dentro il cortile della scuola per poi essere freddata con un colpo alla testa. Jonathan lascia la moglie incinta e un’altra figlia. Il pazzo di turno esecutore dei delitti è Mohammed Merah, un franco algerino di 24 anni che si è dichiarato affiliato ad Al Qaeda. Ma ciò non basta: è anche accusato di aver ucciso, la settimana prima,  tre paracadutisti del 17esimo reggimento genieri.

Il pazzo di turno. Già, perché questa è la verità: l’antisemitismo ha le sue radici nel male del mondo e fintanto che cieli e terra non passeranno, le sue infime barbe cercheranno sempre di mietere vittime.

Questa è una tragica verità non solo attestata dai fatti riportati in millenni di storia del popolo ebraico  ma  scritta nella Torà stessa: durante il primo attacco che Israele si trovò a combattere appena uscito dall’Egitto, la prima battaglia nella libertà (Esodo 17,8-15; Deuteronomio 25,17-19), circa 3250 anni or sono, il nemico Amalec, simbolo per eccellenza dell’odio gratuito verso Israele e della viltà più spregevole, piombò da dietro sui più deboli, su quelli che camminavano per ultimi, senza alcun “timore di Dio”. A questo tragico evento sono legate due  promesse tra le  più incisive della Scrittura. La prima resta  sospesa tra il “non ancora” : «Il Signore disse a Mosè: – … Io cancellerò interamente sotto il cielo la memoria di Amalec -». La seconda invece è perennemente attiva e dimostrabile di volta in volta nella storia: «E Mosè disse: -Una mano s’è alzata contro il trono del Signore, perciò il Signore farà guerra ad Amalec di generazione in generazione-».

Questa è la definizione di antisemitismo che ho elaborato nel corso della mia  esperienza pluriennale nel dialogo ebraico-cristiano, quella che ritengo più calzante ed esauriente: esso è l’invidia della Chiesa e del mondo verso la scelta di Dio.  Mi colpisce l’affermazione espressa in questi giorni, del Rabbino Capo di Safed, Shmuel Eliyahu, per la corrispondenza di contenuti: il punto cruciale della questione, dice, è la gelosia dei gentili verso il popolo scelto da Dio.

Solo due settimane fa, nel calendario biblico, si è commemorata la festa di Purim (13 e 14 di Adar 5772, 8-9 marzo 2012), letteralmente tradotta “delle sorti”, istituita in ricordo della grande salvezza ottenuta (le sorti inizialmente  gettate a fin di male sugli ebrei e poi miracolosamente ribaltatesi in una straordinaria vittoria) sul primo tentativo di soluzione finale che la storia tramandi: il complotto del ministro regio Aman per lo sterminio totale del popolo ebraico (V sec. a.C.). Il fatto è narrato nel libro di Ester. In esso è scritto che i giudei, una volta sventato il tragico evento, presero l’impegno inviolabile per sé, per la loro discendenza e per quanti si sarebbero aggiunti a loro, di celebrare ogni anno quei due giorni come un ricordo che non doveva mai cancellarsi nei secoli e nei millenni (Ester 9,27-28).

L’attualità di questa storia è una tremenda realtà sotto gli occhi di tutti e mi chiedo molto onestamente quale sia la responsabilità personale di ciascuno di noi: noi che non siamo terroristi, noi che non ci reputiamo dei fanatici religiosi, noi che non militiamo  in gruppi neonazisti o in Al-Qaeda. Parlo, grazie a Dio, della stragrande maggioranza delle persone. Se un solo pazzo può fare tanto male quanto bene potremmo fare noi o quanto manchiamo di fare?

La prima grande responsabilità è nella nostra lingua: la diffamazione. Ogni volta che diffamiamo gli ebrei, generalizzando nei loro confronti una tipologia pregiudiziale le cui origini si perdono nella notte dei tempi,  questo è un atto di antisemitismo. La matrice dell’antisemitismo è sempre e solo una: una radice diabolica, perfidamente diabolica, che può manifestarsi in un’apparentemente innocua esternazione malefica fino ad atti più estremi.  Lungi da noi porre attenzione solo su questi ultimi, cerchiamo piuttosto di vegliare su ciò che udiamo imparando ad essere responsabili di ciò che affermiamo e discernendo sempre con maggiore chiarezza ciò che è bene da ciò che è male.

La Bibbia afferma e riafferma in modo incontrovertibile che benedetto sarà colui che benedice Israele e maledetto colui che lo maledice (Genesi 13,3; Genesi 27,29; Numeri 24,9;  Genesi 18,18; 22,18; 26,4; 28,14; Atti 3,25). Chi ha orecchio per udire oda.

Shalom ‘al Israel, sia pace su Israele.

Silvia Baldi Cucchiara

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